Lo scenario post-referendario è immediatamente diventato uno scenario pre-elettorale. Era prevedibile, imprevedibili sono stati i modi e i tempi. I modi perché tutti gli attori del sistema hanno ribaltato proprie posizioni che sembravano radicate, dimostrando che erano solo posizioni di comodo. I tempi perché la stagione delle elezioni politiche si colloca ormai pressoché certamente nel primo semestre 2017 costringendo tutti, noi del Popolo della Famiglia compresi, a prendere decisioni molto rapidamente.
Partiamo da cosa accade. Piuttosto semplice riassumere: Renzi ha legato tutta la sua attività di questo triennio di potere alla costruzione del famoso “abito su misura” costituito dal “combinato disposto” di riforma elettorale (Italicum) e riforma costituzionale. Bocciata quest’ultima nel referendum del 4 dicembre, appare totalmente disinteressato a far proseguire una legislatura che ora ai suoi occhi è priva di senso. Ci sono emergenze colossali nel Paese che richiederebbero una salda azione di governo, a partire dalla condizione di grave povertà della famiglia media con figli minori a carico appena certificata dall’Istat? A Renzi non interessa, a Renzi interessa solo la dinamica dei rapporti di forza nell’ambito del potere tra vari clan contrapposti. Ferito nell’orgoglio, risponde con la tecnica tipica dei capoclan: rilancia la sfida e vuole costringere tutto il sistema a sottostare alle sue pretese. Ha trovato un facile alleato in Alfano che addirittura chiede elezioni politiche a febbraio: il ministro dell’Interno dopo due decenni a servizio di Berlusconi, va a servire i caffè trasferendosi armi, bagagli e livrea sotto le insegne del segretario del Pd.
L’altro protagonista della scena politica è Beppe Grillo, che ha trascorso gli ultimi anni a tuonare contro il “serial killer” della democrazia che attraverso l’Italicum voleva prendersi tutto chiedendo con i suoi portavoce pentastellati una legge elettorale invece di tipo proporzionale. Ora Renzi vuole gettare via l’Italicum e ha bisogno del proporzionale, Grillo invece si è improvvisamente innamorato dell’Italicum e vuole estenderlo dalla Camera pure al Senato “su base regionale”. Anche i grillini vogliono l’abito su misura e con disinvoltura ribaltano la linea di sempre nel corso di una notte. Infine ci sarebbe il centrodestra, con Salvini che chiede risibilmente le stesse cose di Alfano (“a votare subito, con qualsiasi sistema elettorale”), Berlusconi che si prepara a fare la stampella al governo di larghe intese di Renzi della prossima legislatura imperniata sul proporzionale, più quei meravigliosi Quagliariello-Roccella-Giovanardi che dopo aver peregrinato prima dalle parti di Passera, poi da quelle di Marchini, infine sui lidi di Parisi, approdano al porto di Raffaele Fitto e Daniele Capezzone, ci fanno il gruppo parlamentare insieme, immemori dell’ex segretario radicale che voleva Eluana Englaro uccisa e i matrimoni a tre perché quelli gay non bastano, sono troppo borghesi. Potenza dei trucchetti di chi non ha un voto e non sa manco più come si raccolgono le firme per presentarsi alle elezioni.
Ma se questa è la fotografia di quel che accade, si può provare a descrivere quel che accadrà? Pur non dotati di palla di vetro, la conoscenza e l’analisi delle cose può esser d’aiuto, perché le cose hanno una loro logica intrinseca oltre che un loro prezzo. L’attore che può determinare molto è Sergio Mattarella ed è notoriamente contrario alle elezioni anticipate. Vorrebbe essere il levatore di un governo tecnico-politico che aggiusti la legge elettorale senza troppi scossoni e stavolta con un consenso largo, vorrebbe gettare acqua sul fuoco e attendere serenamente l’azione della Corte costituzionale, che a gennaio dovrebbe bocciare il premio di maggioranza dell’Italicum e provvedere così automaticamente ad avviare un dibattito che altrimenti in troppi gli imputerebbero di aver utilizzato come pretesto per prendere tempo. Il presidente della Repubblica è riuscito per ora solo a far completare a Renzi l’iter della legge di bilancio, ma sogna di tenere in piedi lo stesso governo, magari affidandone la guida a Padoan se l’attuale premier dovesse insistere con le dimissioni irrevocabili. Mattarella può avere successo se il partito dei parlamentari interessati alla pensione, il cui diritto a goderne scatta nel settembre 2017, sarà più forte del centinaio di fedelissimi di Renzi e degli altri duecento tra pentastellati, leghisti e meloniani che puntano a elezioni subito. Insomma, Mattarella nel Pd sarà ascoltato o vincerà il pugno renziano? Su questo interrogativo ballano almeno trecento parlamentari, decisivi alla costruzione degli equilibri. Se si trasformeranno in oppositori del progetto renziano di elezioni anticipate subito, magari facendo leva sullo speciale rapporto che lega il Capo dello Stato a Dario Franceschini (capo di AreaDem, la corrente del Pd più consistente anche se meno rumorosa), allora si voterà nel 2018 con un Renzi rosolato per benino. Altrimenti il voto a maggio-giugno prossimi può essere calendarizzato con certezza, con una legge elettorale di fatto proporzionale con sbarramento, alla Camera come al Senato.
Questo scenario proporzionalista ha come esito inevitabilmente un governo di larghe intese a guida renziana, a questo comunque punta il premier ferito dal referendum. Credeva di poter essere autonomo, ora deve scegliersi un partner e torna a quelli che considera più affidabili: Berlusconi e Alfano, il primo che sarà ben lieto di tornare decisivo e difendere così i propri interessi, il secondo che troverà riparo direttamente nelle liste renziano senza doversi contare visto che non ha più un voto. Lo scenario della diciottesima legislatura diventerebbe così nient’altro che la fotocopia del governo attuale, che tanto male ha fatto al Paese. Renzi che per tre anni ci ha detto che serviva all’Italia una legge in cui “la notte delle elezioni” si sapesse chi aveva vinto, ora si acconcia al proporzionalismo. La notte delle elezioni conta di ritrovarsi alla guida del primo partito coalizionabile (cioè disponibile ad accordi, che i grillini invece non accetteranno mai e dunque sono condannati a prendere il 50% in un contesto proporzionale) e di tornare in questo modo a Palazzo Chigi, gettando a mare trentasei mesi di storytelling da maggioritario muscolare con premi di maggioranza monstre e voti di fiducia imposti pur di portare a casa l’Italicum. Ma, si sa, le cose cambiano. Gli interessi pure. Quel che non cambierebbe è il capo del governo e l’assetto complessivo dell’area della maggioranza che, guardacaso, è la stessa che ha partorito le orrende legislazioni contro la famiglia come il divorzio breve e le unioni civili, classificate alla voce “nuovi diritti unificanti” e non a caso votate da parlamentari eletti sia nel centrodestra che nel centrosinistra.
Possiamo accettare questo scenario senza reagire? Evidentemente no. Come Popolo della Famiglia, lo spieghiamo da mesi, puntiamo a veder rappresentato in Parlamento la difesa dei principi non negoziabili attraverso un soggetto autonomo che sappia raccogliere un milione di voti, cioè il consenso di una parte di coloro che hanno partecipato ai Family Day o ne hanno sostenuto anche da casa le ragioni. Riteniamo folle che si possa immaginare di difendere questi principi nello schema dei vecchi soggetti politici che sopra abbiamo passato in rassegna, magari appoggiandosi all’ibrido tra Idea di Quagliariello-Roccella-Giovanardi e i Conservatori di Raffaele Fitto e Daniele Capezzone. La forza dell’esperienza del Family Day è nell’originalità di quella esperienza, nella freschezza che trasmetteva, lontana dai vecchi politici con trent’anni di Parlamento sulle spalle. Ora il Popolo della Famiglia ripete un appello all’unità, l’ennesimo di questi giorni, per essere efficaci nella raccolta di un consenso autonomo che è l’unica speranza per evitare che la prossima legislatura completi l’opera contro la famiglia avviata in questa legislatura con le normative citate. Qualsiasi sia la risposta al nostro appello, noi comunque siamo già in marcia per il lavoro enorme che ci aspetta in vista di un appuntamento con la storia a cui ormai mancano probabilmente meno di sei mesi.
Vedremo nei prossimi giorni se la lettura che abbiamo dato degli avvenimenti è stata azzardata o risponde alla logica delle cose. Quel che è certo è che dobbiamo essere molto attenti e molto calmi in questo momento, agire con freddezza e intelligenza nell’analisi di quel che accade, per poi essere pronti a mettere in campo le contromisure necessarie a impedire all’Italia di sprofondare verso il baratro, perché con queste classi dirigenti così ciniche al comando la navigazione non può che concludersi con un naufragio. Che Dio ci aiuti.