La proposta di legge sul riposo domenicale obbligatorio è stata avanzata, come molte proposte di principio, per primi dal Popolo della Famiglia fin dalla campagna elettorale per le amministrative 2016, poi ricalcata da alcune altre forze politiche. Il PdF l’ha evidenziata come proposta programmatica nazionale grazie alla commissione Torriero-Brienza-Bonaiuto, che l’ha posizionata tra le idee di sostegno alla piccola impresa commerciale familiare, di cui è composto il tessuto economico connettivo di questo Paese. Dunque è stata parte del ventaglio programmatico concreto sottoposto al giudizio degli italiani il 4 marzo 2018 da parte dei candidati pidieffini, sostenuti come si è visto da 220mila elettori. Le forze di governo, come è accaduto con altre idee del Popolo della Famiglia, hanno raccolto questa proposta e l’hanno fatta diventare un disegno di legge. Poi, come accade di solito con le idee del PdF, sono iniziate le polemiche. E le forze di governo hanno cominciato a (con)cedere: facciamo una turnazione del 25%, escludiamo le città d’arte (dove vive quasi la metà della popolazione italiana) e altre limitazioni sono state proposte da ministri leghisti. Succede sempre così. Il PdF esprime una proposta concreta che è insieme anche di principio: il settimo giorno si riposa, le famiglie si ritrovano, non è giusto che la piccola impresa commerciale familiare subisca la concorrenza del grande centro commerciale. Siamo cresciuti in un’Italia così, in cui la domenica il pane era un poco più duro e il capofamiglia lo benediceva. Il principio della domenica non lavorativa non ammette compromessi, se non per i servizi di pubblica utilità. Il PdF ribadisce il principio: attuatelo o no, o è un’idea valida oppure no, non imbastarditela con le solite mediazioni all’italiana. Sui principi non si negozia.