Fatevi una domanda. Anzi fatevene tre. Perché il solitamente flemmatico Marco Cappato improvvisamente sbrocca via twitter? Perché tutto il mondo mediatico mainstream, senza eccezioni favorevole all’eutanasia, improvvisamente si mette a fare a gara a chi si autosmentisce di più? Perché testate internazionali di primissimo livello cancellano addirittura notizie verificate che pure avevano dato (cancellano, non smentiscono, non rettificano)?
Attorno alla morte della povera 17enne olandese Noa Pothoven il mondo dei cultori della “autodeterminazione” si è accartocciato in un ridicolo bailamme che sarebbe comico se non fosse legato ad un evento così tragico. Appena ho saputo del decesso di Noa avvenuto domenica 2 giugno, appena ho letto il post in cui la ragazza annunciava il suicidio con tanto di determinazione temporale (“entro i prossimi dieci giorni”), appena compulsate le come sempre emotive e tutte uguali sintesi dei giornali italiani (traduzioni raffazzonate di quelli esteri) con titolazioni che indistintamente citavano la parola “eutanasia”, ho scritto sul mio profilo Facebook un post intitolato “Il Bivio” in cui non a caso non ho mai usato la parola eutanasia. Era evidente che non si trattava di un caso eutanasico, ma di aiuto al suicidio. L’aiuto al suicidio, aprite subito una finestra di attenzione particolare su questo punto, è esattamente la fattispecie per cui Marco Csppato è in questo momento sotto processo in Italia per il caso Dj Fabo da lui aiutato a suicidarsi in Svizzera nel 2017.
In una diretta facebook ho spiegato la differenza giuridica e pratica tra eutanasia attiva, eutanasia passiva, eutanasia omissiva, suicidio assistito, aiuto al suicidio, istigazione al suicidio. Non sto qui a ripetere tali differenze per non deviare l’attenzione del lettore dal cuore del discorso che questo articolo vuole provare a trasmettere, in un contesto in cui stanno cercando di trasmettervi tutt’altro. Si sappia solo e con chiarezza che nessuna di quelle fattispecie è giuridicamente priva di sanzioni in Italia, perché il nostro ordinamento ha come concetto cardine l’indisponibilità della vita umana, principio solo lievemente scalfito dalla normativa del 2017 sul biotestamento, di fatto e grazie a Dio inapplicata. In Italia chi aiuta a sopprimere una vita umana con ognuno di quei mezzi è passibile di pesanti pene carcerarie.
In Olanda no. In Olanda (e in Belgio, in Lussemburgo, nei paesi scandinavi in diverse forme, in Svizzera, ma anche per sentenza in Francia e in Gran Bretagna come insegnano i recentissimi casi Vincent Lambert e Alfie Evans) si può sopprimere un essere umano, collaborando al suo suicidio o direttamente somministrandogli sostanze letali, senza essere passibili di alcuna pena. Come ho documentato analiticamente da anni nei miei libri, l’introduzione di queste norme ormai quasi un ventennio fa proprio in Olanda ha fatto scuola in mezza Europa e nel 2018 decine di migliaia di morti sono stati causati nel nostro continente dalla soppressione attuata per via eutanasica o agevolando il suicidio. Nella sola Olanda lo scorso anni il 5.8% dei decessi non è stato dovuto a cause naturali, più di uno su venti.
Il nostro ordinamento giuridico vieta questa mattanza. Alcuni, Marco Cappato più di tutti, si battono per “l’eutanasia legale” che comprende in realtà un modello di deregulation svizzera che viene indicata come modello, tanto che il povero Dj Fabo diventa simbolo di questa battaglia e aiutato a suicidarsi proprio in terra elvetica. Al suo rientro in patria Cappato va ad autodenunciarsi ben sapendo che l’articolo 580 del codice penale italiano vieta il suo comportamento e lo sanzione pesantemente: l’aiuto al suicidio è infatti punito con il carcere fino a dodici anni. I media però, stanti le condizioni difficili della vita da disabile di Fabiano, costruiscono una narrazione che fa di Cappato un eroe popolare. Non c’è un solo giornale che non ne esalti le gesta, neanche un dubbio in nessuna trasmissione televisiva, chi dice che “Hitler almeno i disabili li eliminava gratis” (a Fabiano invece i pietosi svizzeri hanno scucito quindicimila euro, come a ogni aspirante suicida, perché quello è puro business ed è il più vergognoso dei business, fatto sulla pelle dei disperati) viene additato al pubblico ludibrio, invece di comprendere il richiamo di fondo: queste pratiche sono proprie dei regimi totalitari. Ma non c’è niente da fare, il coro unanime non si spezza e Cappato riesce ad ottenere dalla pm che dovrebbe farlo condannare una requisitoria che è una dichiarazione d’amore, dal tribunale che dovrebbe semplicemente applicare il chiarissimo dispositivo di legge e mandarlo in galera, un rinvio alla Corte Costituzionale. E la Corte Costituzionale che dovrebbe semplicemente accertare che l’articolo 580 ieri come oggi non confligge in alcun modo con la Carta, anzi ne rispetta lo spirito più profondo di sostegno ai deboli, raccomandando dunque al tribunale di Milano la condanna di Cappato, rinvia a sua volta la palla al Parlamento. Che ora entro il 24 settembre deve dire una parola sulla materia, altrimenti la Corte Costituzionale, si è già capito, depenalizzerà l’aiuto al suicidio.
Questa è la vera posta in gioco. E qui si inserisce la tragedia di Noa. Che non è Fabo, scelto con cinismo da Cappato per il suo sacrificio umano con strumentalizzazione politica immediatamente conseguente perché chiaramente capace di determinare in ciascuno di noi, anche il più freddo e razionale, una emotiva dimensione empatica di comprensione del gesto, per via della difficoltà con cui viveva la sua condizione di disabile grave. Noa no. Noa segnala il punto di arrivo a cui una normativa che legittimi l’aiuto al suicidio inevitabilmente porta. Perché se diventa privo di conseguenze penali aiutare una persona ad ammazzarsi, allora le ragioni per cui uno lo farà attengono solo alla nuova idolatria, quella per “l’autodeterminazione” dell’individuo. Noa fotografa perfettamente l’inferno a cui siamo destinati, con il suoi post con cuoricini e faccine, pieno di migliaia di like, ma senza neanche un abbraccio vero che valesse la pena d’esser vissuto. La chioma bionda, la giovane età di Noa hanno scosso immediatamente pure i benpensanti. Massimo Gramellini, il principe di costoro, quello che sul Corriere della Sera plaudiva a Cappato che aiutava Fabo a suicidarsi, si trovava costretto a scrivere: “Ammetto che, se Noa Pothoven fosse stata inchiodata in quel letto da una malattia terminale o degenerativa, il suo gesto mi sarebbe sembrato più comprensibile. Noa aveva più vita davanti che dietro. Esisteva ancora per lei la possibilità di una rimonta, di una luce improvvisa che venisse a scandagliare tutto quel buio dandogli un senso, o almeno una direzione”. Eccoci qua, dritti al punto. Per ragioni a me sinceramente incomprensibili, l’uccisione del disabile Fabo ma anche dei bimbi Charlie o Alfie, questi “editorialisti” la considerano liberatoria. Serviva una chioma bionda di una bella ragazza olandese giovanissima per far loro capire dove si va a finire se si fa rotolare la pallina sul piano inclinato: dritti all’inferno, noi lo gridiamo da un po’.
E allora si capisce adesso l’incredibilmente cinico comunicato stampa di Marco Cappato. Titolo, davvero da sciacallo: “Il lasciarsi morire di fame e sete è legale anche in Italia”. Noa si è ammazzata di sete, ipotesi che nessun medico avallerebbe mai. Noa è stata aiutata a suicidarsi, come ha scritto con chiarezza il Times (“legally helped”) e Euronews indicava anche la clinica che si era detta disponibile a sostenere gli ultimi passi di Noa verso la morte. Con un atto senza precedenti, Euronews ha cancellato nelle successive versioni dell’articolo tutti i riferimenti alla clinica e alle modalità con cui Noa sarebbe morta, specificando di aver rimosso tali riferimenti in calce al pezzo e senza fornire motivazioni. Contatatta tale clinica non ha in alcun modo smentito di aver aiutato Noa a suicidarsi, ha però specificato di non poter dare informazioni a riguardo e di non poter confermare se Noa era paziente della clinica “per ragioni di privacy”. Appare del tutto evidente che se tale clinica non avesse nulla a che fare con la morte di Noa, una bella smentita di una riga avrebbe chiuso una questione che porterà anche delle noie legali nella pur “liberale” Olanda. Ma Noa sapeva benissimo che sarebbe morta e quando sarebbe morta, perché tutto era stato stabilito con nordica precisione. Bobby Sands che si lasciò morire per inedia ci mise 59 giorni e nessuno avrebbe potuto prevedere la data del decesso e neanche l’orizzonte temporale in cui sarebbe avvenuto. I molti che ne seguirono l’esempio nelle carceri britanniche ai tempi della contrapposizione tra l’Ira e la Thatcher morirono con capacità di resistenza tutte diverse. Noa sapeva perfettamente tutto, sapeva prima. Il cinismo del comunicato di Cappato è davvero insopportabile.
Papa Francesco non a caso nel messaggio dedicato alla vicenda non è stato generico: “L’eutanasia e il suicidio assistito sono una sconfitta per tutti. La risposta a cui siamo chiamati è non abbandonare mai chi soffre, non arrendersi, ma prendersi cura e amare per ridare la speranza”. La posta in gioco è questa qua. Vi vogliono distogliere ora facendovi discutere di come è morta davvero Noa, se è stata eutanasia o meno. Dobbiamo discutere invece di tutt’altro, grazie a Noa: se vogliamo o no che nell’ordinamento giuridico italiano il cinismo dei Cappato e il pietismo selettivo (il disabile muoia, la giovane bionda no) dei Gramellini prevalgano. Il tema duro, faticosissimo, inevitabilmente violento è questo qua.
Cosa possiamo fare? Pregare, certo. Ma quando i nazifascisti rastrellavano ebrei per mandarli a Auschwitz i bravi cattolici pregavano, quelli più bravi a partire dal Papa nascondevano gli ebrei nelle loro case, nei conventi, nelle Chiese. Ora et labora. Ho trascorso i mesi scorsi chiedendo un sostegno che non si è materializzato alla mobilitazione del Popolo della Famiglia. Siamo lontani da appuntamenti elettorali, quindi oggi non ha neanche senso reiterare la richiesta. Ma la questione resta politica. Visto che il partito infinitamente più forte ha un leader che bacia il rosario, che evoca il Cuore Immacolato di Maria, che si proclama profondamente cristiano, ecco, questo leader faccia un atto profondamente cristiano: presenti in Parlamento una mozione che confermi la validità dell’articolo 580 del codice penale che vieta l’aiuto al suicidio, vincoli al voto di questa mozione il futuro della maggioranza di governo, diffidi di conseguenza attraverso questo voto dei rappresentanti del popolo sovrano la Corte Costituzionale ad operare un colpo di mano depenalizzando la fattispecie per salvare Cappato. Poiché non siamo manettari, Cappato sia condannato e poi eventualmente se lo ritengono finanche graziato. Firmerò io stesso la richiesta di grazia. Ma deve assolutamente essere condannato a una pena detentiva tra i cinque e i dodici anni di carcere, pena che dunque per entità non può essere sospesa, per aver aiutato un disabile a suicidarsi. La posta in gioco è il principio giuridico che la vita umana non è un bene disponibile, chi contribuisce alla vittoria della morte sulla vita lede un diritto fondamentale della persona, il primo dei diritti.
Avendo chiara la battaglia in corso e la posta in gioco, così come i trucchi degli avversari che vogliono distrarci, ora adoperiamoci affinché la nuova consapevolezza che ci ha regalato anche Noa arrivi a più persone possibile. Questo è il primo compito a cui io personalmente e spero anche tante persone che reputo amiche vorranno votarsi nell’immediato futuro. Perché siamo al bivio tra civiltà e inferno.