Sergio Mattarella è a Bologna da qualche giorno, il 2 agosto saranno quarant’anni dalla strage più vile mai commessa da terroristi “autoctoni” sul territorio di una nazione occidentale, in assoluto l’evento criminale più grave dell’intera storia d’Italia: 85 morti, 200 feriti. Donne, anziani, bambini: una carneficina indiscriminata. Gli esecutori? Individuati e condannati all’ergastolo, ma fuori dal carcere da decenni. I mandanti? Individuati, ma mai condannati. I depistatori? Anche loro, mai condannati. Tre gradi di giudizio e ulteriori carte emerse confermano che la strage fu materialmente compiuta dai Nar di Giusva Fioravanti e Francesca Mambro, che furono per anni il braccio armato di uno Stato deviato che usava i criminali per regolare conti e attivare strategia. Licio Gelli li ha pagati con cinque milioni di dollari, uno in anticipo e il resto a cose fatte, una montagna di denaro proveniente dal Banco Ambrosiano. Cinque milioni di dollari del 1980 equivalgono a cento milioni di euro di oggi. Quello è il prezzo del sangue versato nella maniera più vigliacca possibile a Bologna.
Voglio che Mattarella faccia sentire alta la sua voce. Lui sa bene che Giusva Fioravanti è anche colui che ha assassinato suo fratello, è stato riconosciuto dall’unico testimone oculare, la moglie che era accanto a Piersanti Mattarella quando il giovane killer gli sparò: la vedova non ha mai ritrattato di aver riconosciuto Giusva Fioravanti e si tratta dell’unico caso a mia conoscenza in cui il testimone oculare di un omicidio non viene né creduto né confutato. Si è preferito credere a un mafioso pentito che ha scagionato Fioravanti. Ma il presidente della Repubblica nel suo intimo sa la verità, ha raccolto lui tra le sue braccia il corpo del fratello morente.
Giusva Fioravanti e Francesca Mambro sono protetti da una cintura trasversale di amici politici, giornalisti, lobbisti vicini a George Soros che è riuscita a far trangugiare al paese il fatto che siano liberi, nonostante condanne pesantissime. Non passa anno senza articoli e libri che facciano immaginare che i due fondatori dei Nar siano vittime di un errore giudiziario. Mi auguro che stavolta Sergio Mattarella difenda l’onore dello Stato italiano facendo esplicitamente i loro nomi, perché loro sono stati gli assassini prezzolati e feroci che hanno ucciso per anni indisturbati servitori dello Stato, avversari politici, persone comuni.
Mi aspetto che il presidente della Repubblica italiana dica che è vergognoso che gli stragisti di Bologna siano liberi, che chi li ha pagati non abbia mai fatto un giorno di carcere per questo, che i mandanti annidati in uffici dello Stato non siano mai stati disturbati. Mi aspetto che Mattarella dica che la libertà di Mambro e Fioravanti, dallo Stato stesso indicati e condannati come stragisti con sentenza passata in giudicato, è un oltraggio nei confronti delle vittime di Bologna. E, dicendolo, pensi anche a suo fratello.
Per questa mia battaglia di giustizia su Mambro e Fioravanti sono stato pesantemente insultato addirittura in una trasmissione televisiva che conducevo dal radicale ex terrorista Sergio D’Elia (un altro protetto dai radicali di Emma Bonino e dai finanziamenti di George Soros a Nessuno Tocchi Caino, della galassia radicale, dove sono stati presi a lavorare gli stessi Mambro e Fioravanti); il fratello di Francesca Mambro fece la stessa cosa in una trasmissione radiofonica; addirittura un parlamentare in carica di Fratelli d’Italia, evidentemente nostalgico delle violente amicizie di un tempo, mi ha sbraitato contro in un bar del centro di Roma davanti a testimoni attoniti per le pagine che ho dedicato a Mambro e Fioravanti nella mia storia sul Terrorismo in Italia. Quei due nomi sono tabù. Spero davvero che il presidente della Repubblica lo infranga in nome della verità, per provare a lenire con essa la ferita di una nazione.
Io posso solo riportare le parole di Paolo Bolognesi a nome di tutte le vittime di Bologna, presidente dell’associazione che le riunisce, alla mesta celebrazione del trentennale: “Ad eseguire materialmente la strage sono stati i neofascisti dei Nar Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, hanno scontato condanne pagate a prezzi di saldo: non esiste detenuto in Italia che abbia goduto di maggiori benefici. Abbiamo appreso con sconcerto la disinvoltura e la noncuranza dell’etica politica con cui Emma Bonino ha avuto come consulenti nel comitato elettorale Mambro e Fioravanti”. Bolognesi poi ha ricordato il ruolo del giudice Mario Amato, giovane magistrato trucidato su ordine di Mambro e Fioravanti quaranta giorni prima della strage di Bologna. Stava indagando sui legami tra Nar, servizi deviati e banda della Magliana, puntando “molto in alto”.
Il mio modo di ricordare sempre che i peggiori criminali della storia italiana sono liberi e oggetto di venerazione da parte della classe giornalistica italiana, è ricordare tutte le loro vittime, quelle di cui nessun giornale ha ricordato il nome, specie quei giornali impegnati nella celebrazione degli assassini Mambro e Fioravanti, fingendo persino che sia innocenti per la strage di Bologna. Va bene, diciamo che decine di giudici togati e popolari di tribunale, corte d’appello e di Cassazione si sono sbagliati, hanno tutti preso un abbaglio. Ma sapete quante altre persone sono state uccise da Mambro e Fioravanti, dalla folle attività terroristica dei Nuclei Armati Rivoluzionari? Sapete in che modo barbaro le hanno uccise?
Non sono un giustizialista, non proverei piacere nel vederli ai ceppi. Ma un po’ il mondo l’ho girato e mi rendo conto che una storia come questa possiamo raccontarla solo noi in Italia. Mettono una bomba nella sala d’aspetto di una stazione, uccidono nella maniera più vigliacca possibile una valanga di bambini, donne, anziani. Non in un grado di giudizio, non un solo giudice, ma una marea di giudici fino alla Cassazione indicano in Francesca Mambro e Giusva Fioravanti gli esecutori materiali della strage. Il 23 novembre 1995 la Repubblica italiana certifica con il terzo grado di giudizio la sentenza definitiva di colpevolezza, nel 1998 la Mambro è già in semilibertà, Fioravanti poverino deve aspettare il 1999. Lo sapevate? Ve l’hanno mai detto? Ve lo immaginate che possa accadere negli Stati Uniti d’America o in qualsiasi paese civile che i condannati per la strage più grave della storia di quel paese, a tre anni dalla sentenza definitiva possano camminare liberi per il centro della capitale? Il tutto, attenzione, senza mai aver collaborato con la giustizia, avendo mantenuto sempre orgogliosamente le bocche cucite e forse il premio è arrivato proprio per questo.
Alcuni come ho accennato dicono: non sono stati loro. La pubblicistica dei giornalisti amici, senza mai affermarlo direttamente, è riuscita però nell’operazione certificata di garantire la cancellazione della responsabilità: la stragrande maggioranza degli italiani non conosce nomi e cognomi degli esecutori della strage di Bologna. Sa dei depistaggi, un po’ a memoria e un po’ a caso parla di P2 e servizi segreti, ma i fatti per come sono stati giudizialmente ricostruiti non li conosce. Ma pur dando per buona l’operazione “diritto all’oblio” garantita dai Giovanni Bianconi del Corriere della Sera e dagli ex terroristi rossi come Sergio D’Elia, che hanno preso Mambro e Fioravanti a lavorare a Nessuno Tocchi Caino (e di Abele ‘sticazzi, è il sottotitolo), vorrei che sapeste che al di là della strage di Bologna quei due hanno sulle spalle 17 ergastoli per ulteriori atti criminali che qui sotto vado a riassumervi.
28 febbraio 1978. Giusva Fioravanti ed altri notano due ragazzi seduti su una panchina che dall’aspetto (capelli lunghi e giornali) identificano come appartenenti alla sinistra. Fioravanti scende dall’auto, si dirige verso il gruppetto e fa fuoco: Roberto Scialabba, 24 anni, cade a terra ferito e Fioravanti gli sale sulla schiena, gli punta la pistola alla nuca e lo finisce. Poi, si gira verso una ragazza che sta fuggendo urlando e le spara senza colpirla.
9 gennaio 1979. Fioravanti ed altre tre persone assaltano la sede romana di Radio città futura dove è in corso una trasmissione gestita da un gruppo femminista. I terroristi fanno stendere le donne presenti sul pavimento e danno fuoco ai locali. L’incendio divampa e le impiegate tentano di fuggire. Sono raggiunte da colpi di mitra e pistola. Quattro rimangono ferite, di cui due gravemente.
16 giugno 1979. Fioravanti guida l’assalto alla sezione comunista dell’Esquilino, a Roma. All’interno si stanno svolgendo due assemblee congiunte. Sono presenti più di 50 persone. La squadra terrorista lancia due bombe a mano, poi scarica alla cieca un caricatore di revolver. Si contano 25 feriti. Dario Pedretti, componente del commando, verrà redarguito da Fioravanti perché, nonostante il ricco armamentario “non c’era scappato il morto”. Che Fioravanti fosse colui che ha guidato il commando è accertato dalle testimonianze dei feriti e degli altri partecipanti all’azione, e da una sentenza passata in giudicato. Ciononostante, Fioravanti ha sempre negato questo suo pesante precedente stragista.
17 dicembre 1979. Fioravanti assieme ad altri vuole uccidere l’avvocato Giorgio Arcangeli, ritenuto responsabile della cattura di Pierluigi Concutelli, leader carismatico dell’eversione neofascista. Fioravanti non ha mai visto la vittima designata, ne conosce solo una sommaria descrizione. L’agguato viene teso sotto lo studio dell’avvocato, ma a perdere la vita è un inconsapevole geometra di 24 anni, Antonio Leandri, vittima di uno scambio di persona e colpevole di essersi voltato al grido “avvocato!” lanciato da Fioravanti.
6 febbraio 1980. Fioravanti uccide il poliziotto Maurizio Arnesano che ha solo 19 anni. Scopo dell’omicidio, impadronirsi del suo mitra M.12. Al sostituto procuratore di Roma, il 13 aprile 1981, Cristiano Fioravanti – fratello di Valerio – dichiarerà: “La mattina dell’omicidio Arnesano, Valerio mi disse che un poliziotto gli avrebbe dato un mitra; io, incredulo, chiesi a che prezzo ed egli mi rispose: “gratuitamente”; fece un sorriso ed io capii”.
23 giugno 1980. Su ordine di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, Gilberto Cavallini uccide a Roma il sostituto procuratore Mario Amato. Il magistrato, 36 anni, è appena uscito di casa; da due anni conduce le principali inchiesta sui movimenti eversivi di destra. Amato aveva annunciato che le sue indagini lo stavano portando “alla visione di una verità d’assieme, coinvolgente responsabilità ben più gravi di quelle stesse degli esecutori degli atti criminosi”. Mambro e Fioravanti la sera dell’omicidio festeggiano ad ostriche e champagne.
9 settembre 1980. Mambro e Fioravanti con Soderini e Cristiano Fioravanti, uccidono Francesco Mangiameli, dirigente di Terza Posizione in Sicilia e testimone scomodo in merito alla strage di Bologna.
5 febbraio 1981. Mambro e Fioravanti tendono un agguato a due carabinieri: Enea Codotto, 25 anni e Luigi Maronese, 23 anni. Dagli atti del processo è emerso che durante l’imboscata Fioravanti ha fatto finta di arrendersi. Poi ha gridato alla Mambro, nascosta dietro un’auto, “Spara, spara!”.
30 settembre 1981. Viene ucciso il ventitreenne Marco Pizzari, estremista di destra e intimo amico di Luigi Ciavardini, poiché ritenuto un “infame delatore”. Del commando omicida fa parte Mambro.
21 ottobre 1981. Alcuni Nar, tra cui Mambro, tendono un agguato, a Roma, al capitano della Digos Francesco Straullu e all’agente Ciriaco Di Roma. I due vengono massacrati. L’efferatezza del crimine è racchiusa nelle parole del medico legale: “La morte di Straullu è stata causata dallo sfracellamento del capo e del massiccio facciale con spappolamento dell’encefalo; quello di Di Roma per la ferita a carico del capo con frattura del cranio e lesioni al cervello”. Il capitano Straullu, 26 anni, aveva lavorato con grande impegno per smascherare i soldati dell’eversione nera. Nel 1981 ne aveva fatti arrestare 56. La mattina dell’agguato non aveva la solita auto blindata, in riparazione da due giorni.
5 marzo 1982. Durante una rapina a Roma, Mambro uccide Alessandro Caravillani, 17 anni. Il ragazzo stava recandosi a scuola e passava di lì per caso. Mambro sostiene che Caravillani sia stato ucciso da un proiettile di rimbalzo. Viene condannata come esecutrice dell’assassinio.
Tutto questo è diventato libertà senza verità. Cioè totale impunità per gli assassini. Accade solo in Italia, nella solita intersezione malata tra politica marcia e giornalismo complice. Ed è qualcosa di profondamente intollerabile. Paginate per Salvini da mandare quindici anni in prigione per un fantomatico sequestro di persona, per una vera strage con centinaia di vittime i colpevoli assassini accertati sono totalmente liberi. E gli italiani preparano così, succubi e alieni come al solito, i riti dell’anniversario del 2 agosto 1980. Sempre più stanchi e disillusi.