È nata da poche ore la quarta repubblica e i movimenti dei partiti presenti in Parlamento sono continui e spesso disordinati: se per diversi anni abbiamo visto le forze popolari rincorrere gli istinti populisti ora assistiamo a una scena diametralmente opposta. Sembrano lontani decenni i giorni in cui ci dedicavamo con passione a promuovere una possibile adesione della Lega al Partito Popolare Europeo, una spinta europeista che fosse da traino per l’azione di governo nazionale e un paese capace di guardare all’Unione Europea con speranza anziché sentirla come matrigna ostile: oggi, nel giro di poco più di una settimana, tutto questo si è palesato improvvisamente lasciando interdetti molti elettori e molti commentatori. Quando auspicavamo questi sviluppi proponevamo un cammino politico fatto di consapevolezza e non di opportunismo, di ferma adesione valoriale e non di mero opportunismo e di riflessione programmatica e non di semplice ricambio di slogan: lo scenario ha preso forma sulle sabbie mobili di un cataclisma istituzionale chiamato Mario Draghi che ha segnato il totale fallimento della politica davanti alle sfide derivanti dalla più grave pandemia sanitaria che mai si sia trovato a fronteggiare il paese dal dopoguerra ad oggi. Sabbie mobili che stanno permettendo di navigare a vista agli attori politici attuali ma che non gli consentiranno, molto probabilmente, di costruire un futuro possibile alla loro azione politica. Voi vi domanderete perché? Ora provo a spiegarvelo.
La corsa al cosiddetto “centro di gravità permanente” sta riguardando vari rami del Parlamento italiano: la Lega che prova a mutare pelle diventando europeista per salvaguardare gli interessi nazionali, Italia Viva che tenta di raccogliere l’eredità del movimentismo berlsuconiano in difficoltà a causa della precaria mobilità del proprio leader Silvio Berlusconi, vari piccoli partiti di centro come UDC e Cambiamo che cercano di raccogliere i malcontenti dei grandi fasti berlusconiani per accrescere le proprie file e il lento “movimento andante” di Carlo Calenda che, con la visibilità di queste consultazioni, esce al meglio dall’angolo in cui si era erroneamente infilato con la prematura candidatura a sindaco di Roma e rilancia la sua figura sotto un profilo di competenza e capacità di governo sulla quale difficilmente si possono porre obiezioni. Tutto questo accade perché i soldi che garantiranno lo sviluppo al paese arriveranno dal piano europeo Next Generation Eu e i voti di coloro che gioveranno della produttività di questa fondi arriveranno a quelle forze politiche che saranno state capaci di spenderli al meglio. Per questo motivo Renzi ha fatto i salti mortali per eliminare dalla scena politica Giuseppe Conte: per assicurarsi, dunque, che non fosse l’ex premier a poter giovare direttamente di questa opportunità più unica che rara.
A fronte di tutto questo riscontrate solo opportunità o anche rischi? Ebbene, attraverso uno sguardo più accurato, è possibile rintracciare una serie di pericoli che potrebbero potenzialmente vanificare tutte le opportunità elencate. Ora tenterò di spiegarveli. Rincorrere una posizione, che potremmo riassumere con l’appellativo “da forza gentile” significa perseguire una strada tesa a conquistare il voto delle decine di migliaia di italiani delusi dalla politica populista degli slogan, rischiando al contempo di poter perdere, potenzialmente, quelle porzioni di elettorato animato più che dalla ragione dalla cosiddetta “pancia”. Per questo se si fanno “capriole” opportuniste si rischia o di sbattere contro un muro o di non sfondare mai quel muro (vedi i consensi in perenne stallo di Italia Viva): l’ultimo che ha provato questo tentativo fu Mario Monti che raccolse un consenso intorno al 9% (niente male per una lista presentata poche settimane prima del voto) che decretò, a causa dell’irrilevanza parlamentare del suo gruppo e della inadeguatezza nelle vesti di leader politico del Professore, la morte politica dell’ex premier. Con la sua sconfitta si bruciò l’opportunità di dare rappresentanza organica a quel 10% di italiani (la stessa percentuale, non a caso, di consensi che i sondaggi attribuiscono da settimane a un ipotetico partito del prof. Giuseppe Conte) che vuole sentire dalla politica una parola di rassicurazione e un’azione veramente riformatrice.
Per questo perseguire strade di fusioni a freddo tra realtà politiche diverse (come avvenne già in passato con il Popolo della Libertà) non è la strada corretta da seguire come non porterebbe a nulla far sedere a un unico tavolo tutti i leader e leaderini di questo cosiddetto “centro di gravità permanente”: ricordiamoci che in politica uno più uno non fa mai due. Serve invece una visione nuova animata da una vera e propria serie di call to action (letteralmente “chiamate all’azione”) capaci di ricondurre tutte queste realtà in una prospettiva organica comune. Per questo da tempo auspicavamo un governo di responsabilità nazionale e una cabina di regia larga e condivisa nella gestione dei fondi del piano Next Generation Eu: perché questo avrebbe consentito una possibile svolta nella costruzione di una vera e propria unione di cristiano democratici. Misurarsi dunque con l’agenda Draghi è una straordinaria opportunità per cercare di incontrare e fidelizzare mondi e comparti sociali e produttivi del paese che cercano rappresentanza politica di qualità e valore.
Questo percorso è possibile solo se si sarà capaci di calarsi dentro una serie di azioni condivise, a partire dalle proposte di gestione dei fondi europei stanziati per rilanciare le economie continentali dopo l’attuale grave pandemia sanitaria, che siano da stimolo per far riaffiorare le comuni radici culturali: immaginare di partite in questo cammino definendo primariamente una scala di valori astratti antecedenti alle azioni politiche concrete significherebbe dare spazio a lacerazioni in mille fazioni e rivoli come già oggi purtroppo accade. Occorre uno sforzo movimentista capace di valorizzare il particolare di ognuno dentro un’organicità di azione animata da rinnovato primato della persona, della famiglia e dell’impresa. Per questo come Popolo della Famiglia ci troviamo impegnati fortemente a costruire un piano di proposte da portare all’attenzione del governo che sarà chiamato a stilare il prossimo “Piano nazionale per la rinascita e la resilienza”: perché siamo consapevoli che da qui passa la nostra capacità di porre al centro del cammino di unione dei cosiddetti cristiano democratici le priorità che ci stanno più a cuore. Senza fanatismi, senza mitizzazioni ma con un sano realismo politico. Così facendo chi nulla ha che vedere con il cosiddetto “centro di gravità permanente” per dissonanza valoriale, per rivalità leaderistiche o altro si autoescluderà autonomamente da questo percorso e rimarranno solo coloro che vogliono realmente costruire la casa italiana del Partito Popolare Europeo. Per noi pidieffini la sfida è audace e stimolante e non dobbiamo aver alcun timore di misurarci con chi ha più consensi di noi: se le nostre proposte, il nostro agire nelle istituzioni dove siamo rappresentati e il nostro parlare saranno saldamente ancorati a proposte concrete e facilmente masticabili dal cosiddetto “italiano medio” (come il fattore famiglia per il fisco con attenzione ai nuclei monoreddito e lo stipendio per le mamme a tempo pieno) saremo capaci di raccogliere consensi ben oltre quelli ottenuti su una risposta valoriale meramente identitaria.
Le istituzioni, amava ripetere Aldo Moro, vanno incarnate e noi per primi abbiamo il dovere di fare nostro questo moto ancora fortemente attuale.