Vi dicono che è in corso una guerra “novecentesca”, figlia di tensioni che furono del secolo scorso e con quei convenzionali mezzi bellici vengono regolate. Vi stanno facendo piombare anche nell’incubo atomico, che del Novecento fu il massimo spauracchio nella seconda metà del secolo. Poi venne giù il Muro e ci fu chi scrisse del “secolo breve” e chi della “fine della storia”. Che invece era appena cominciata. Una storia tutta nuova. Che ora si può scrivere in un verso o nell’altro. Ma prima occorre capire. Come sempre: o capiamo o moriamo.
Il Novecento non fu “il secolo breve”, ma semplicemente l’appendice violentissima di tutto quel che fu scritto nel secondo millennio, a partire dal Grande Scisma del 1054 sofferto dalla Chiesa di Roma che ancora anima le parole da molti ritenute scandalose del patriarca ortodosso Kirill sulle ragioni della guerra in Ucraina. Leggendo il Novecento come atto finale del “millennio delle divisioni e delle guerre” ne si comprendono meglio le caratteristiche. Mentre il primo millennio dopo la nascita di Cristo vede il susseguirsi dialettico di due forti idee di unità come quella imperiale (dall’Impero Romano a cui più tardi si aggiunse la parola Sacro) e quella ecclesiale (l’aggettivazione “cattolica” qualifica la Chiesa come appunto universale), il secondo millennio vede un costante frantumarsi dell’idea di unità a cui si associa nientemeno che l’attività bellica costante e di progressiva ferocia fino all’Olocausto e ai cento milioni di morti causati dai regimi comunisti.
Certo, la tendenza violenta alla guerra è insita nell’animo umano: non so descriverla meglio di come ha fatto Stanley Kubrick nella strepitosa ouverture di 2001 Odissea nello spazio, con gli scimmioni radunati in tribù che si colpiscono finché un osso usato come mazza vola e si trasforma nella nave spaziale dominata da Hal 2001. Kubrick non usa le parole. Spiega che l’istinto a colpire l’altro non si può reprimere, è innato, ci saranno sempre Caino e Abele. Ma l’uomo può mettere in campo strutture elaborate in grado di contenere questa innata violenza che, se lasciata alla propria naturale vigoria nel propagarsi, alla fine genera solo caos. Così l’Impero, così la Chiesa. Per i primi mille anni dopo Cristo: strutture tendenzialmente universaliste che gestivano dal loro interno la violenza bellica ed in qualche modo la controllavano.
Il secondo millennio frantuma questa unità: dal Grande Scisma nascono il protagonismo slavo oltre che le Crociate chiamate nel 1095 a creare lo sconquasso che rende ancora oggi ingestibile l’area mediorientale nel conflitto sempiterno tra le tre grandi religioni monoteiste; dalla Riforma luterana l’Europa piomba in un’epoca di guerre cui solo la formula “cuius regio eius religio”. In realtà la condizione bellico-rivoluzionaria diventerà quella abituale in Europa e non solo. Da Est l’Islam prova ad arrivare fino a Vienna e ci volle Lepanto. Da Ovest si prova a rompere il tabù della conquista della Russia e Napoleone ne esce con le ossa rotte e consegnato alla sua fine, con la stessa dinamica che poi sarebbe toccata a Hitler e Mussolini, colpevoli di aver tentato lo stesso azzardo.
Complessivamente la lezione che la storia ci regala dopo mille anni di guerre guerreggiate è di lasciare a ciascuno l’area di influenza secondo la regola degli alfabeti differenti: c’è una dimensione unitaria occidentale che si ritrova nell’alfabeto latino; c’è l’estremo oriente degli ideogrammi dominato dalla Cina; c’è l’Oriente più prossimo con la vastità anche territoriale del cirillico; c’è l’Islam che prevalentemente si esprime con l’alfabeto arabo. Se il terzo millennio vuole uscire dalla stagione della guerra continua che ha caratterizzato il secondo, deve rispettare la lezione delle zone di influenza degli alfabeti differenti.
Può essere una stagione della storia capace di reggere, dunque, sulla forza delle parole e non su quella delle armi. A patto di non voler sconfinare. In Ucraina l’Occidente ha compiuto un tentativo di sconfinamento, ecco l’inevitabile conflitto che subito si è scatenato. È stato violato l’equilibrio degli alfabeti differenti che può garantire la pace perché, a differenza di quanto accade nei minuti che ho citato del film di Kubrick, compaiono le parole. Che spiegano e salvano. Sugli alfabeti differenti va costruito l’equilibrio pacifico del terzo millennio, abbandonando la tentazione omologatrice della globalizzazione e coltivando invece l’incontro tra diversi, mantenendo come preziosa tale diversità. Chi vuole renderci progressivamente tutti uguali, magari insegnando en passant anche che femmina è uguale a maschio e le due identità sono intercambiabili e indossabili a seconda della giornata, opera forzature destinate a innescare reazioni violente.
Dobbiamo tornare a credere negli universalismi, tornare a quel Dante che fuori tempo massimo li vagheggiava all’inizio di un millennio destinato a frantumarli tutti. L’unità delle aree di influenza andrà salvaguardata e non invasa e con la regola degli alfabeti differenti, che impone peraltro un ascolto concentrato non immediato e dunque non banale, ci potremo finalmente preparare all’epoca di pace che l’umanità non vive dai tempi della pax romana.