Su Fox News, primaria rete televisiva planetaria, è andata in onda una puntata dedicata al fenomeno dei detransitioners, ragazze e ragazzi che chiedono risarcimenti (ora anche una legge) per aver subito il trattamento dei bloccanti della pubertà a 11-12 anni, per prepararli al cambio del sesso poi praticato e di cui si sono amaramente pentiti. La più nota clinica londinese che portava avanti queste pratiche, la Tavistock, chiuderà definitivamente tra sei mesi. Da noi, con tanto di parere favorevole del comitato nazionale di bioetica, ci sono strutture pubbliche che somministrano ai bambini gratuitamente la costosissima triptorelina, per bloccare la loro pubertà con le stesse finalità. I casi sono ormai centinaia, a carico del servizio sanitario nazionale, cioè pagati da tutti noi.
Su Cne News l’ottimo Lennart Nijenhuis racconta invece la storia di Olivia Maurel, trentunenne figlia dell’utero in affitto che spiega la disperante ricerca delle proprie radici biologiche, della propria madre. L’articolo è illuminante e lo trovate qui https://cne.news/…/3781-a-child-of-a-surrogate-mother… per avere conferma di una questione che affermo da anni: saranno i figli di quell’obbrobrio criminale che è l’utero in affitto a chiedere conto della violenza subita. Intanto dopo la Russia anche la confinante Georgia ha reso illegale la pratica dell’utero in affitto per gli stranieri che andavano a comprarsi i bambini dalle partorienti. Queste nuove leggi restrittive fanno seguito a quelle già assunte dall’India e da altri paesi asiatici.
Il Wall Street Journal insieme a un’infinità di altri quotidiani del pianeta oggi ospitano lunghi articoli sulla decisione dalla Corte Suprema della Georgia (non la nazione asiatica, in questo caso lo Stato americano) di considerare pienamente legittima la norma che consente di abortire solo entro sei settimane dal concepimento, quindi di fatto rendendo limitatissimo l’accesso alla soppressione del nascituro. Sono i cittadini dello Stato a decidere, spiegano giustamente i giudici della Supreme Court. E i cittadini dello Stato della Georgia, come di altri 14 Stati degli Usa, sono in maggioranza antiabortisti. Di più: il New York Times sempre di oggi racconta come i cittadini della popolosa contea di Lubbock in Texas abbiano voluto una norma che vieta di trasportare donne incinte verso il vicino stato del New Mexico, che invece consente l’aborto anche alla 24esima settimana (bambino di sei mesi completamente formato) nelle cliniche Planned Parenthood che poi commerciano i tessuti e gli organi dei bimbi abortiti.
Ho voluto darvi conto di quel che si legge su testate di primaria rilevanza mondiale su temi cruciali. Che da noi però sono tabù. Da noi si può solo scrivere “bene” dell’uso della triptorelina e degli ospedali pubblici che la somministrano ai bambini per bloccare la loro pubertà; da noi mai visto un servizio televisivo sul fenomeno dei detransitioners; da noi ci sono solo servizi inneggianti all’utero in affitto e chi prova a contestare le scelte di Nichi Vendola o Tiziano Ferro è certamente “omofobo”, ovviamente nessuno ha il coraggio di andare dai ragazzi e chiedere in un contesto libero da condizionamenti cosa pensano dell’essere stati privati del diritto ad avere una mamma; non parliamo poi del tema dell’aborto, il tabù assoluto, con tutti ma proprio tutti che si affannano a dire che “la legge 194 non si tocca” e il Parlamento che vota senza nessun gruppo politico che si opponga il concetto folle di “diritto all’aborto” come intangibile.
Segnalo tutto questo solo per dirvi che nel mondo, invece, la discussione è viva e come. Lo segnalo per spiegare che rispetto alla paccottiglia gender e mortifera si sta cominciando a fare macchina indietro: chiudono le cliniche dei trans minorenni, si alza la protesta contro l’utero in affitto, cambiano le leggi di molte nazioni, si varano norme contro l’aborto. Grazie alla lotta di tanti, di tanti ragazzi in primis vittime di queste violenze, il mondo sta cambiando. Solo da noi è vietato evidenziare soprattutto sui media questo cambiamento già in atto.
Mi ricordo da ragazzino che se guardavo le piazze o frequentavo le scuole e poi l’università tutti parevano obbligatoriamente credere nel marxismo, nel maoismo, nel leninismo. Manifestazioni e occupazioni erano dominate da Lotta Continua, Potere Operaio, Movimento Studentesco, Federazione giovanile comunista, Pmli (marxisti-leninisti), anarchici, Autonomia operaia e infinite altre sigle simili. Il quotidiano L’Unità inneggiava a Pol Pot e ai khmer rossi con tanto di manifestazione oceanica di sostegno al dittatore cambogiano organizzata dai giovani comunisti di Massimo D’Alema. Su L’Espresso campeggiava il manifesto minatorio contro il commissario Luigi Calabresi, firmato da tutti i principali intellettuali dell’epoca. Quando Calabresi fu ammazzato dal commando omicida di Lotta Continua, nessuno ritirò la firma. Molti oggi se ne pentono e da Potere Operaio sono passati alle posizioni che contano al Corriere della Sera, da Lotta Continua a Mediaset, al Foglio, a Repubblica e sono tutti ancora là e tutti ammetteranno ora che quel che sembrava la loro fede incrollabile era una fede di cartapesta in idee che erano molto di moda, ma erano paccottiglia. Pericolosa paccottiglia oggi totalmente spazzata via dalla storia.
Così accadrà anche di queste altre idee contro l’uomo, dall’ideologia gender alla cultura mortifera, per chi segue il dibattito internazionale la parabola è già disegnata è chiara. Sono idee certamente alla moda, ma ne è iniziato il declino. Per vincere anche in Italia servono però persone coraggiose disponibili a lottare controcorrente. E a imporre un dibattito che non deve essere tacitato dai media italiani, perché è un insopportabile oltraggio alla democrazia e alla libertà, una discriminazione palese di chi sta sempre a lamentarsi di essere discriminato. Chiediamo spazi per raccontare quel che sta accadendo nel mondo e dare forza agli afflitti. Credo sia una richiesta ragionevole.