Come sempre la serie Netflix è molto ben fatta quindi si finisce per tifare le donne e essere sollevati quando la ragazza viene assolta. L’ultima scena ci svela il brutale assassinio a coltellate del “maschio stupratore” che avviene in piazza e non come atto di legittima difesa (lo stupro dell’amica era avvenuto in casa). Ma non c’è condanna e tutti vissero felici e contenti, lei in viaggio per il mondo da sola come sognava accendendo un cero alla Madonna (sì, finisce tutto in una chiesa). Messaggio finale: uccidere il maschio non è reato. Sia moralmente (l’adulterio lui se l’è meritato perché trascurava la moglie preferendole “corsi biblici”) che fisicamente (lo stupratore evoca un altro stupratore antecedente che l’aveva passata liscia, il suo assassinio suona come compensativa punizione dell’intero genere maschile). Le donne fanno tutte squadra (mamma adultera, figlia, psicologa del carcere, amica complice, madre dell’amica complice, ex fidanzata dello stupratore, giudice) e abbattono i maschi malvagi e inetti.
UNA FAMIGLIA QUASI NORMALE
La serie Netflix più vista in Italia in questo momento è Una famiglia quasi normale (alert spoiler, se la stai vedendo citerò dettagli della trama). Si tratta di una produzione danese: famiglia naturale con figlia unica, assassina. La madre avvocato tradisce il marito e tra figlia 19enne in carcere e adulterio la famiglia esplode. Fin qui siamo quasi nell’ordinario racconto contemporaneo di come la famiglia naturale sia in realtà luogo tossico di incomunicabilità. Il “twist” del plot, il colpo di scena che piace tanto ai tipi di Netflix, è che tutte le donne sono solidali e smart, gli uomini oscillano tra la categoria “maschio strupratore” e “rincoglionito incapace”. Ovviamente il maschio stupratore è l’ucciso a coltellate e la trama vuole portarti a empatizzare con l’assassina, con l’amica complice, con la mamma avvocato che conosce i trucchi del diritto e trova tutte le prove che ricondurrebbero alla figlia assassina per occultarle prima e distruggerle poi, fino a riuscire a far assolvere tutti da un bel tribunale dove ovviamente sia il giudice che la pubblica accusa sono donne.
Netflix ci propone un manifesto danese del neofemminismo e in Italia lo portiamo al primo posto in classifica. I più attenti scorgeranno in controluce i pozzi avvelenati della società nordeuropea (infinite solitudini, i genitori anziani isolati in istituto, le chiese vuote, l’alcool stordente che scorre a fiumi, l’asettico ordine privo di sentimento di case, ospedali, persino carceri). Io torno a pensare al male che può fare la contrapposizione frontale delle donne verso gli uomini, alla società che ne deriverebbe, all’oceano di infelicità che sgorga dall’idea neofemminista di un maschio da subordinare perché sempre portatore di istinti violenti.
La serie Una famiglia quasi normale è danese, ma racconta una prospettiva di supremazia femminista che fa leva su un pericoloso vittimismo, in nome del quale giustificare tutto, che ha forte presa in questo momento in Italia e può essere letale. Aridatece Happy Days o almeno I Cesaroni, le serie sulla famiglia più amate del recente passato, che raccontano come maschi e femmine si aiutano per superare le difficoltà rispettandosi e costruendo insieme un percorso, ciascuno con le sue qualità e caratteristiche. Mi impressiona che sia considerato ormai impossibile costruire una serialità o un racconto su una famiglia davvero normale, sulle sue avventure e sulle sue fatiche, mentre la famiglia “quasi” normale narrata dalla contemporaneità è sempre luogo cupo di incomunicabilità, ipocrisia, tradimento, contrapposizione maschile-femminile, violenza e, sullo sfondo, morte. A questo che sta diventando un persino liso cliché io non mi rassegno.
Attendo un riscatto che sappia tornare a quel che ha sempre rappresentato la famiglia anche nella narrazione pop: un luogo che evoca il sorriso, talvolta la sferzante ironia sociale, ma sempre una profonda dignità di fondo. Mi vengono in mente la famiglia Fantozzi, Sandra e Raimondo, le villeggianti del Conte Mascetti, le infinite serie anche estere (la Casa nella Prateria, la famiglia Bradford, Arnold, la Tata, i Simpson, la famiglia Addams, Dallas, Casa Keaton e chi più ne ha più ne metta), perché il racconto delle vicende di una famiglia è stato sempre il modo più immediato per mettersi in connessione con il comune sentire di moltitudini di spettatori. Se questo comune sentire viene tramutato in cupa disperazione si accende una pericolosa spia, il motore della società è a rischio. Attenti: la spia è accesa.