Siamo alla svolta epocale. In curiosa coincidenza con l’ottobre del 1922 che segnò l’unica volta dell’ascesa della destra dura e pura al governo nella storia italiana, nell’ottobre del 2022 un partito di destra votato da una moltitudine di italiani forse anche perché non è stato tolto l’emblema della fiamma che arde a Predappio arriva a guidare il governo della Repubblica. Fossimo un Paese pacificato nell’analisi storica di ciò che ha rappresentato il fascismo nella vicenda italiana, il parallelo potrebbe essere scandagliato meglio persino come augurio per la modernizzazione dell’Italia perché, sì, il fascismo “ha fatto anche cose buone” e alcune molto buone specie per i ceti medio-bassi e questa è la ragione per cui Mussolini ha goduto di un consenso straripante per due decenni, prima di perdersi nella tragedia della guerra, delle leggi razziali, del male assoluto hitleriano. Ma non siamo un Paese pacificato su questi temi e il solo accenno ad essi ti rende automaticamente “fascista”. Questo articolo non vuole affrontare il tema, cerchiamo elementi più innocui di novità.
È il primo governo guidato in Italia da una donna. Il potere esecutivo nel mondo non pare essere un mestiere per femmine: in due secoli di democrazie occidentali nei grandi Paesi si contano tre premier inglesi, una cancelliera tedesca, nessuna presidentessa spagnola, americana o francese. Quindi Giorgia Meloni entra in un ristrettissimo club di donne gigantesche che hanno lasciato un’impronta nella storia da Margaret Thatcher a Angela Merkel. C’entra con il suo diplomino all’alberghiero che non dava manco accesso all’università, con il suo marcato accento della Garbatella (che poi è più Mostacciano), con decenni di militanza in una “comunità” (amano usare questa espressione a destra) che aveva una mitologia composta da ragazzi fascisti ammazzati da ragazzi comunisti. Quando nella notte della vittoria Giorgia ha evocato “la memoria di quelli che non ci sono più” il pensiero di tutti i militanti ex missini non è andato ad Almirante e a Tatarella, ma ai fratelli Mattei, a Miki Mantakas, Sergio Ramelli, Paolo Di Nella, Stefano Recchioni, Francesco Ciavatta, Franco Bigonzetti, Francesco Cecchin. Ai ragazzi morti in agguati politici perché fascisti. E se non ci fosse una mortifera ipocrisia che impedisce ormai il ricordo e Giorgia Meloni li avesse voluti salutare come per decenni la comunità missina li ha salutati, avrebbe chiamato il “presente” e tutti avrebbero risposto “presente” anteponendo ad ogni nome scandito l’appellativo di “camerata”, omaggiandolo con il saluto romano. Sarebbe stato un momento finale e catartico, sarebbero state piante finalmente lacrime commosse di vittoria per quei ragazzi che agli stessi ideali di Giorgia Meloni hanno offerto la loro vita, sarebbe stato chiuso bene un capitolo della storia italiana. Ma l’ipocrisia non consente bellezza.
Così ci siamo sorbiti la versione ”Meloni di governo ai tempi di Biden e Von der Leyen”. La svolta epocale, tolto il tema della destra destra al governo e della donna, purtroppo si riduce a: continuare a mandare armi a Kiev, continuare a trattare la Russia come un nemico, conseguentemente dover rinunciare a pagare 2 a Gazprom quello che stiamo pagando a 200 alle navi cisterna americane piene del loro gas liquido da rigassificare, continuare ad avere bollette energetiche quintuplicate, relativi fallimenti di imprese e disoccupazione e collasso dei bilanci familiari aggrediti anche da un’inflazione a doppia cifra, con inevitabile deflagrazione delle famiglie stesse sia sul piano economico che su quello esistenziale, perché la famiglia di ceto medio improvvisamente impoverita diventa una famiglia molto fragile. Ma tutti questi elementi erano noti agli elettori. Per rafforzare la sua immagine fedele ai “valori dell’Ue” genderista e abortista, inoltre, la Meloni ha reso chiaro il suo omaggio alle sedicenti famiglie arcobaleno, mettendo per iscritto che non toccherà la legge sulle unioni civili né la legge 194, considerandole norme che promulgano dei “diritti acquisiti” ormai incancellabili. A questa offerta politica gli elettori hanno aderito con entusiasmo donando a Fratelli d’Italia, ma più precisamente direi alla persona di Giorgia Meloni, un numero di voti superiore a quelli di tutti i partiti della coalizione di centrosinistra messi insieme. Giorgia Meloni ha dunque una legittimazione democratica intangibile, ha insieme il diritto e il dovere di governare. E questa è certamente una svolta epocale per l’Italia.
Ho avuto modo di sottolineare in una videointervista apparsa su Libero che la Meloni è ora a un bivio: o si sdraia sulla posizione americana e europeista provando a far credere di essere cambiata o tra sei mesi la faranno fuori per ordine di Von der Leyen e del Partito popolare europeo a cui appartengono sia la Von der Leyen che Berlusconi, utilizzando il clima sociale pesante che si sta già creando con le occupazioni autunnali delle scuole e delle università “contro il governo fascista” appoggiate dall’intero star system italiano da Elodie a Roberto Saviano. E questa sarebbe una ragione per diventare fan sfegatati della Giorgia nazionale, che non è la cantante, ma quella che da ottobre 2022 governerà l’Italia.
Noi invece saremo all’opposizione di Giorgia Meloni e del suo governo continuista dell’Agenda Draghi. La questione delle armi a Kiev e della guerra alla Russia è troppo gravida di conseguenze gravissime per la tutela dell’interesse di famiglie e imprese italiane, così come sul piano dei temi etici capiamo che non ci sarà alcun cambiamento. Sono davvero molto felice dell’elezione di Maria Rachele Ruiu alla Camera, perché dimostra che il seme del family day è ancora vivo e perché mi sta più simpatica di Simone Pillon, ma proprio Simone ha dimostrato in cinque anni da senatore di maggioranza che i grandi partiti non ti fanno toccare palla, ti tocca sempre attaccare l’asino dove vuole il padrone, infatti anche la Ruiu a seguito di un attacco di Formigli ha dovuto subito ripetere in un’intervista al Giornale il mantra meloniano per cui “la legge 194 non si tocca”.
Qualcuno stizzito e poco intelligente prende queste come considerazioni personali e invece sono considerazioni puramente politiche. Come Popolo della Famiglia in Alternativa per l’Italia ci siamo battuti alle elezioni per costruire un fronte, come chiesi a giugno in un’intervista di una pagina intera a La Verità, che andasse “da Meloni a Rizzo”. Con Meloni e con Crosetto mi sono speso in questo senso anche in privato, spiegando loro che restare alleati di Berlusconi e Salvini e cioè dei partner di governo di Draghi avrebbe di fatto commissariato l’esperienza meloniana di governo, mentre l’Italia aveva bisogno di voltare davvero pagina. Non sono stato capace di convincere Meloni e non sono stato capace di convincere neanche Gianluigi Paragone e Marco Rizzo. Il rifiuto del percorso unitario è stata una follia, almeno di questi ultimi due, perché il loro egoismo ha provocato il naufragio di tutte le liste alternative, che unite avrebbero agevolmente superato lo sbarramento e avrebbero oggi festeggiato decine di eletti. Rivendico la linea perché era la linea giusta e la porterò all’assemblea nazionale del Popolo della Famiglia il 15 e 16 ottobre a Pomezia. La crisi del 22 luglio, le firme raddoppiate rispetto al 2018 e da raccogliere a Ferragosto, alcune leggerezze organizzative con stupidissimi ed evitabili errori ci hanno esposto al fuoco amico che per tutta la campagna elettorale ci ha attaccato affermando che non bisognava votare APLI perché eravamo presenti “in solo 7 collegi su 49”. Sono le stesse persone che dopo aver ripetuto ossessivamente questa frase oggi dicono: hanno preso solo 56mila voti rispetto ai 200mila del 2018. E così dimostrano tutta la loro malafede. I voti sono 57.253 e lo spoglio non è ancora terminato, se era vero quel che dicevano in campagna elettorale sui nostri buchi territoriali, il risultato va moltiplicato per 7 e il totale fa 400.771. I voti rispetto al 2018 li abbiamo raddoppiati.
Contro la malafede però poco si può fare, contro il livore avvelenato ancora meno. Quel che è certo è che noi proseguiremo, siamo è sempre più saremo il partito radicale di questi Anni Venti. Il partito radicale pannelliano presentandosi sotto vari e molteplici simboli non superò mai alle elezioni politiche il 3% dei voti, Pannella morì prendendo alle ultime elezioni politiche lo 0.13%, ma indubbiamente le sue idee affermate per decenni con tenacia hanno cambiato l’Italia. In peggio. La nostra difesa dei principi non negoziabili arricchita dei temi sociali, economici, geopolitici che abbiamo portato in questa campagna elettorale attraverserà i decenni con la stessa determinazione e, credo, con gli stessi effetti a partire dalla lotta alla denatalità e all’aborto. Perché noi, ad esempio sì, la legge 194 vogliamo asfaltarla con la proclamazione del diritto universale a nascere e a non essere uccisi da inserire in Costituzione. Mi pare una lotta che può riempire una vita. Chi si vuole battere davvero si unisca a noi.
Le condizioni per arrivare alla vittoria ci sono perché la vera svolta epocale delle elezioni del 25 settembre 2022 è la Caporetto devastante della sinistra che da quando con Matteo Renzi nel 2014 ha abbandonato il territorio della lotta per i diritti sociali convertendosi ad agenzia per i cosiddetti “diritti civili” che sono fuffa ideologica, passa di sconfitta in sconfitta. Questa è la bella notizia, questo è il presupposto per lottare e iMagi are la vittoria, che arriverà solo se garantiremo perseveranza e pulsione aggregativa. Io la mia determinazione la prometto. Non mollo di un millimetro, continuons le combat. Chi non gradisce si allontani e vada altrove.