Tra cinque mesi esatti, il 9 giugno 2024, si terranno le elezioni europee, cinque anni dopo quelle del 27 maggio 2019 che incoronarono Matteo Salvini al 34.3% con la sua Lega per Salvini premier. Un altro Matteo alle europee antecedenti, quelle del 2014, aveva ottenuto da premier addirittura il 40.8%. E per chi volesse capire la lezione della politica italiana degli ultimi dieci anni, mettendoci di mezzo anche il trionfo dei grillini guidati da Luigi Di Maio alle politiche del 2018, direi che la foto è scattata per bene e il titolo è il sempiterno sic transit gloria mundi.
Salvini tra cinque mesi prega di confermare il 9% scarso delle politiche di settembre 2022. Forza Italia sa che non confermerà l’8% e non capisce che pure lo sbarramento al 4% è un problema. There’s a new king in town, che poi è una queen, Sua Maestà Giorgia che prese il 6.4% cinque anni fa e a questo giro come minimo quadruplicherà la percentuale. Poi però dovrà evitare l’ubriacatura che ha abbattuto Renzi dopo le europee del 2014 (voleva farsi eleggere imperatore, lui diceva “sindaco d’Italia”, e straperse il referendum costituzionale del 2016) e Salvini dopo le europee del 2019 (venne l’estate del Papeete, la richiesta di “pieni poteri” e perse prima il governo, poi il progetto di partito nazionale, ora è in mano ai tre governatori del Nord). Per la Meloni sarà una prova dura perché la nuova generazione dei politici ha dentro profonde insicurezze, ha paura, non si fida, tende a circondarsi solo di cani ammaestrati. I grandi leader politici del passato insegnavano i meccanismi della distribuzione del potere per rafforzare il proprio, nella Dc ad esempio vigeva il principio secondo cui il segretario del partito non poteva fare il premier e alla presidenza della Repubblica non doveva mai essere eletto un vertice politico, si preferivano figure istituzionali, ad esempio ex presidenti delle Camere. La seconda Repubblica si è invece caratterizzata per l’avvento dei “cerchi magici”, la corte del re di turno. Era conseguenza della crisi dei partiti popolari, trasformati in comitati elettorali a servizio del leader. La Meloni non fa eccezione. Invece di massacrarla sempre con il gioco del “fascismo”, questa è una critica forse più costruttiva che dopo la sbornia delle europee potrebbe permetterle di evitare il deragliamento, problematico per lei e anche per la credibilità del sistema italiano, sempre instabile e incapace di chiudere una legislatura con il governo che l’ha iniziata.
Alle europee il Pd metterà alla prova la leadership della Schlein che parte dal 22.7% di cinque anni fa e spera di confermare il 19% delle politiche 2022. I Ds di Fassino alle politiche 2006 presero il 17.5% e venne considerata una percentuale così fallimentare per la sinistra che il partito venne sciolto e nel 2007 nacque il Pd. A me pare naturale che la leader che più insiste sulle caratteristiche di sinistra woke riporti il partito alle percentuali della dichiarazione di fallimento, visto che l’attuale Pd è inabitabile da soggetti diversi dai soliti inamovibili militanti che votano a sinistra a prescindere. Il 17% lo prese anche il M5S cinque anni fa, nella versione Di Maio al governo con Salvini. Vedremo se il M5S guidato dal premier di quel governo gialloverde, un Giuseppe Conte che nel frattempo si è trasformato in un aspirante Che Guevara con pochette, riuscirà a aggirarsi attorno a quella percentuale.
Fin qui ho descritto le sorti dei 5 partiti che superarono lo sbarramento del 4% nel 2019: Lega, Pd, M5S, Forza Italia, Fratelli d’Italia. Restarono sotto lo sbarramento Europa Verde (stavolta l’aggregazione di ultrasinistra di Bonelli e Fratoianni punta a superarlo, ma peserà il fattore Soumahoro), i boniniani di +Europa (stavolta a passeggio in un magma indistinto “macroniano” i cui protagonisti sono Renzi, Calenda e Bonino ma si odiano tra loro dopo una serie incredibile di grotteschi tradimenti reciproci) e le varie CasaPound e Forza Nuova, che presero meno voti di noi del Popolo della Famiglia e stavolta le destre puntano sul Forum Indipendenza di Gianni Alemanno, che come tutte le novità è alle prese con il problema della raccolta firme. La nostra lista con Alternativa Popolare nel 2019 prese un po’ più di 114mila voti che anche questa volta mettiamo a disposizione per la costruzione di un vasto cartello di forze alternative di ispirazione cristiana, come deciso dalla assemblea nazionale del PdF che si è recentemente tenuta a Pomezia.
Ci saranno altre novità? Ci sarà qualche transumanza di eletti che sanno di non poter essere riconfermati dalla lista che li ha eletti nel 2019. Forza Italia ha perso il molisano Aldo Patriciello, 73mila preferenze al Sud finite nella Lega, che però s’è vista salutare da Francesca Donato, regina delle preferenze nelle Isole. Dal M5S si sono mossi in tanti, ma rischiano tutti approdi infelici, tipo Isabella Adinolfi oggi in Forza Italia. Il king delle preferenze potrebbe essere il generale Vannacci, dato in procinto di accordarsi con la Lega. Ma se anche prendesse mezzo milione di voti sul suo nome (un’enormità) non risolverebbe la crisi di consensi del Carroccio. E, soprattutto: a Vannacci è utile diventare un europarlamentare leghista? Sarebbe ridotto a soldato semplice dove i generali sono altri, sarebbe completamente depotenziato. Altra cosa sarebbe una lista Vannacci che potrebbe attrarre anche più di un milione di voti, perché i voti di lista sono cosa assai diversa dai voti di preferenza ma queste sottigliezze le capisce solo chi maneggia gli strumenti della politique politicienne da anni. E non è il caso del generale.
Vedremo che film ci sarà offerto dalla politica italiana nei prossimi cinque mesi. Ma, insomma, il trailer è questo.