Le elezioni sarde raccontano due limiti forti del centrodestra: quello di Giorgia Meloni a trovare luogotenenti decenti di cui fidarsi (si parla di “classe dirigente di Fratelli d’Italia”, ma nella triste politica odierna la selezione è di tizi di cui la leader si fidi, inadeguati e strambi in modo che nessuno possa mai farle ombra, Truzzu is the new Michetti); quello di Matteo Salvini che è diventato un Re Mida al contrario, in Sardegna è passato dal 12 delle regionali precedenti al 6 delle politiche 2022 al 3 e qualcosa di questa tornata. Anche Forza Italia passa dall’8 abbondante delle politiche al 6 stiracchiato di ieri, insomma per la maggioranza consegnare la regione Sardegna al centrosinistra è un segnale che non si può sottovalutare.
Alessandra Todde vince regalando al M5S la prima poltrona da governatore regionale della sua storia, il Pd si inchina e la Schlein nella notte usa le parole di Virginia Raggi: “Cambia il vento”. I limiti del centrodestra emergono ancora più prepotentemente considerato che l’alleanza M5S-Pd si è privata dell’apporto di Azione e +Europa, raggrumati con altri attorno a Renato Soru che ha superato l’8% dei voti da terzo incomodo. Tutte le opposizioni unite avrebbero superato agevolmente il 50%.
Certo, è solo un’elezione regionale, ma è sorprendente. Si respirava un’aria taumaturgica attorno alla Meloni, mentre il Pd non vinceva un’elezione grossa da anni e il M5S era dato per disperso in amministrative che non lo hanno mai premiato. Lo sforzo della premier a somigliare a ogni governo che l’ha preceduta (io stesso non saprei indicare un solo provvedimento che segni seriamente la discontinuità in questi 16 mesi a Palazzo Chigi rispetto a quelli trascorsi da Draghi) non sta galvanizzando le truppe, non spinge alla militanza, che invece sull’altro fronte è infuocata dalla retorica del “cacciare i fascisti”. Molto divertente il siparietto di un giovane che ha contestato Giuseppe Conte nel corso di una manifestazione in cui l’ex premier si accalorava per attaccare il governo per via della manganellatura di Pisa, il ragazzo ricordava di aver avuto la testa spaccata dalle manganellate quando a Palazzo Chigi c’era proprio lui.
Conte è il trasformista più spettacolare della storia della Repubblica italiana, dal 2019 al 2024 è riuscito a reggere ogni parte in commedia: filoleghista, populista, filopiddino, progressista, draghiano, per le armi e poi contro le armi, porti chiusi nel 2019 e immigrazionista dal 2020, pugno di ferro alle manifestazioni quando era premier ora guai alla polizia del governo fascista. Eppure da oggi con Todde vincente, questo personaggio ha il peso specifico maggiore tra tutti i leader della politica italiana. Il che racconta molto del triste tempo odierno, fatto di maschere indossate con disinvoltura: la Meloni di opposizione è diventata uguale ai governi che ha combattuto, la Schlein è ipnotizzata da un trasformista, al centro non sanno che pesci prendere.
Ci sono le regionali in Abruzzo tra due settimane, senza il voto disgiunto che invece è in vigore in Sardegna (che follia le leggi elettorali italiane, tutte diverse, unico Paese al mondo) il centrodestra dovrebbe vincere e prepararsi così alla sfida delle europee del 9 giugno dove, attenti, c’è la proporzionale con sbarramento al 4%. Ognuno dunque corre per sé, ognuno dovrà farsi notare. Questo non fa bene al governo perché Salvini ha il problema di confermare almeno il 9% nazionale delle politiche 2022 e tira una brutta aria. Se arretra ancora Zaia, Giorgetti e Fedriga gli faranno politicamente la pelle. Quindi per Salvini è un vivere o morire. Alle europee del 2019 prese il 34.3% con 28 europarlamentari eletti, se conferma il 9% ne elegge 6 e uno sarà Vannacci, l’altro il neoleghista meridionale Patriciello, mister preferenze. Molto malumore coverà tra i 24 non rieletti. Vedremo dunque un Salvini attivissimo e smarcato. Meloni come reagirà? Recupererà un po’ di smalto, metterà in cantiere un cambio di passo del governo per far capire ai suoi elettori che non hanno eletto in lei un Draghi in gonnella, un Enrico Letta con accento della Garbatella?
Tanto gli altri continueranno a darle, velatamente o meno, della “fascista”. Conviene continuare a camuffarsi per non spiacere ai poteri sovranazionali, lasciando a Salvini il ruolo da casseboittes, che svolgerà in maniera più pericolosa perché ormai spalle al muro? Credo che Fratelli d’Italia dovrebbe aprire una serie fase di costruzione programmata e programmatica di un’identità politica da grande partito popolare di massa, con un’identità culturale forte e aperta ad un contributo intellettuale un po’ più elevato rispetto a chi si fa fotografare con la scritta TRUX tatuata col pennarello nero. Il dux Truzzu ha condotto a un disastro. Dopo le regionali sarde perse nel 2009 Veltroni si dimise e fu la sua fine. Renzi trionfò alle europee 2014, due anni dopo fu costretto a lasciare Palazzo Chigi e oggi si arrabatta odiato persino da Calenda. Salvini fece lo stesso alle europee 2019 e oggi gli tocca difendere un 3% in Sardegna. Di Maio aboliva la povertà dal balcone su Piazza Colonna ed ora è disperso nel Golfo, Monti venne accolto come un Giulio Cesare con premiership e laticlavio a vita e fondò pure un partito dal 10% abbondante che l’anno dopo era sparito, Berlusconi portò il PDL al 38% e poi rotolò nella polvere cacciato dal Senato, Letta e Bersani guidarono un partito del 25% e sono da tempo fuori da tutto, Grillo pareva avere l’Italia in mano e ora lotta immusonito per salvare il figlio da un brutto processo. Nella prima Repubblica le carriere politiche erano quarantennali e corali, il XXI secolo della politica italiana in poco più di vent’anni ha bruciato in maniera velocissima tutte le leadership, perché sono state leadership individualistiche e questo tipo di “capi” selezionano solo cani ammaestrati, non classi dirigenti figlie di un percorso collettivo. Lo fanno per paura e poi finiscono accoltellati alla prima congiuntura sfavorevole. Fateci caso, alla fine si somigliano tutti. Che differenze profonde in termini di provvedimenti assunti mi fate notare tra un governo Letta (2013) e un governo Berlusconi (2011), tra un governo Conte e l’altro pur opposti nella composizione politica (2018-2021) tra un governo Draghi e il governo Meloni? Se tutto è intercambiabile, tutto verrà rapidamente cambiato, in una giostra interminabile che ha come conseguenza solo lo spegnersi dell’Italia.
E ora via, altro giro, altra corsa. Cosa accadrà?